Due anni di crisi sanitaria e a che punto siamo?
Forse non sono state poste nella lente d’ingrandimento le risposte italiane all’epidemia, molto probabilmente non è andato tutto bene ma sicuramente molto andrà all’asta.
Per uscire dalla crisi servono piani strategici e capacità di anticipare gli eventi, mentre nel nostro paese si navigava a vista quando c’era Giuseppe Conte a Palazzo Chigi.
All’alba del 2020 l’organizzazione mondiale della sanità, l’OMS, ha dichiarato l’emergenza internazionale per il nuovo coronavirus e da quel momento nessun paese poteva ritenersi al sicuro dal misterioso agente infettivo che aveva già messo sotto scacco milioni di persone a Wuhan.
I governi, i loro sistemi sanitari e l’OMS, garante della salute in tutto il mondo, dovevano prepararsi al peggio, visto che una pandemia potenzialmente devastante per la salute e l’economia globale stava arrivando.
Ogni Stato avrebbe quindi dovuto dotarsi di un piano strategico per gestire ogni rischio, ormai concreto, affinché il contagio non dilagasse anche fuori dalla Cina.
In quei primi giorni il governo italiano reagì realmente con prontezza?
Subito dopo l’allerta dell’OMS il governo Conte II dichiarò lo stato di emergenza sospendendo i voli diretti con la Cina e lasciando di conseguenza la possibilità di fare degli scali in uno Stato europeo per arrivare in Italia.
Pechino protestò e l’OMS gli diede ragione: limitare gli spostamenti avrebbe potuto rivelarsi un danno anziché un beneficio perché si perdeva l’opportunità di tracciare i passeggeri in arrivo, che avrebbero comunque potuto arrivare nel nostro Stato eludendo ogni controllo all’ingresso.
È effettivamente quello che accadrà, ma lo scopriremo soltanto 3 settimane dopo, grazie ad un servizio de Le Iene.
Il 18 febbraio un 38 enne di nome Mattia si presenta all’Ospedale di Codogno (Lo) con i sintomi di una leggera polmonite: era giovane, sportivo e senza malattie pregresse e ciò non faceva trapelare nemmeno il dubbio che fosse coronavirus.
Purtroppo invece risulta positivo e le sue condizioni si aggravano, arrivando al ricovero in terapia intensiva. Ci siamo…
Si cerca di ricostruire la catena del contagio fino al paziente zero ma questa strategia si rivela ben presto inapplicabile poiché con ogni probabilità il Covid-19 circola in Italia già da settimane, magari scambiato per influenza: il nostro sistema di sorveglianza ha fallito, in quanto non è riuscito ad intercettare l’ingresso del virus in Italia.
Questi che seguono sono giorni cruciali per l’intervento al contenimento dell’epidemia quando la minaccia appare agli occhi del governo italiano ancora contenuta.
Serve coraggio per imporre interventi drastici quando ancora non sembra necessario e, nonostante il precedente della Cina, quel coraggio viene a mancare.
Il governo, in ritardo e senza pensare alle conseguenze psicologiche, fisiche ed economiche dei cittadini, adotta i primi provvedimenti il 23 febbraio, con l’istituzione della “zona rossa”, differente da quelle istituite successivamente, considerato che queste servivano esclusivamente ad evitare gli spostamenti se non per comprovati motivi di necessità.
In quel momento i contagi sono in netto aumento, ma il governo afferma tramite i mass media di essere lo Stato a fare più tamponi fra tutti e ad aver provveduto in maniera ottimale al blocco della diffusione del virus: nascono così i primi slogan vuoti e privi di verità, nati e promossi dal presidente del Consiglio e dal Governo, da alcuni sindaci e da qualche governatore regionale.
Durante le sciagurate settimane che seguirono, si commisero gravissimi errori nella comunicazione dell’emergenza, nella quale si sminuiva il rischio offrendo false rassicurazioni: ancora oggi ne paghiamo le conseguenze.
L’8 marzo è la Festa della Donna, i casi sono in netto aumento, oltre 7000, e il governo sigilla per decreto la Lombardia e altre 15 province del Nord Italia, imponendo restrizioni a 17 milioni di persone: è stato un provvedimento che causò polemiche, scatenando caos e annunci di giornale pasticciati.
Fra le tante comunicazioni istituzionali frammentate, incoerenti ed approssimative basta pensare agli appuntamenti notturni del Premier Conte, trasmessi a reti unificate e sul suo profilo Facebook.
Questi discorsi, vuoti di contenuto, avevano lo scopo di offrirsi come una guida credibile nell’emergenza, parlando ai cittadini con voce sola e spiegando in modo poco chiaro il significato e l’importanza delle norme sulle restrizioni, generando fraintendimenti, confusione e panico.
In generale la gestione italiana della pandemia in questo periodo è caratterizzata da un perenne ritardo della pubblicazione dei decreti, anticipati molte volte dai giornali e creando di conseguenza una polarizzazione tra le notizie, nelle quali nessuno aveva ragione, ma tutti avevano ragione.
Il virus continua ad espandersi, i virologi litigano fra loro, l’opinione pubblica si divide.
La Lombardia fu la prima grande vittima e sperimentò per prima le gravi difficoltà di coordinamento con uno Stato lento e ideologico che non ascoltava i territori e le loro esigenze, con il risultato di offrire messaggi insensati a cittadini sempre più confusi.
Sempre più spesso si sfocia in scontro aperto tra Regione e Governo facendo divenire la prima obiettivo di svariati attacchi più politici che inerenti alla sanità.
La Lombardia dovette vivere il dramma delle residenze per anziani su cui si mise ad indagare la magistratura, arrivando poi ad un nulla di fatto; il ritardo dell’istituzione delle zone rosse nei comuni di Alzano Lombardo e Nembro da parte del governo romano; il dramma vissuto in molti ospedali raccontato tra gli altri dall’anestesista e rianimatore Mirko Nacoti, il quale denunciò la mancanza di protezioni adeguate non inviate da Roma, la morte nella più totale solitudine dei pazienti anziani che non potevano ricevere cure o peggio ancora la tragedia di tante persone che non hanno potuto essere ricoverate per mancanza di posti letto.
Parlando brevemente del Veneto, il governatore Luca Zaia adottò un sistema basato su un numero maggiore di tamponi anche su asintomatici, ad una maggior assistenza domiciliare e al contenimento preventivo di zone dove si sarebbero potuti verificare focolai.
Stiamo però parlando di due regioni eccellenti dal punto di vista sanitario e ospedaliero: pensiamo ad altre realtà italiane dove si è combattuta questa gloriosa battaglia spesso con strutture obsolete e macchinari difettosi.
Nella gestione del rischio l’improvvisazione non paga mai perché, se è vero che tutto non può essere previsto, nel 2003 l’OMS esortò i governi a predisporre un piano pandemico con la massima urgenza ed effettivamente l’Italia lo fece, ma non lo aggiornò dall’anno 2006 in poi.
In ogni caso, il governo manca dei protocolli fondamentali per la gestione dell’emergenza sanitaria, talvolta finendo per essere ridicolizzato dal mondo intero.
La conseguenza fu che gli enti ospedalieri divennero focolai di nuovi contagi e la non – presenza di un piano strategico ha impedito di agire in modo proattivo, condannandoci a restare in balia degli eventi.
Abbiamo visto un contesto di assoluta privazione dei diritti fondamentali, un taglio netto della socialità che ha finito per renderci socio fobici e sistematicamente terrorizzati da un continuo imperversare di notizie polarizzanti e divisive.
Il 2020 e il 2021 in parte dunque sono gli anni del lockdown, dove gli uomini sono in bilico tra libertà, restrizioni, paure e sofferenze.
Bisogna chiedersi se tutte le decisioni adottate per fronteggiare l’emergenza siano giuste e proporzionate in un’ottica di bilanciamento tra il diritto fondamentale alla salute, sancito dall’Art. 32 della Costituzione e le libertà fondamentali, riconosciute e tutelate dalle carte fondamentali di tutto il mondo democratico.
Bisogna ripartire dalla Costituzione intesa come “bussola” e a tal proposito è utile ricordare l’intervento del Presidente della Corte Costituzionale, Giancarlo Coraggio, il quale analizza il rapporto intercorrente tra sicurezza e libertà, cercando di capire fino a che punto è possibile comprimere diritti costituzionalmente tutelati in ragione del raggiungimento di un bene superiore, quale la salute pubblica.
Qui di seguito la citazione integrale:«Il bilanciamento è il cuore dell’attività della Corte. Anche nel caso del Green Pass il problema è di bilanciamento, da una parte una maggiore libertà, dall’altra la sicurezza collettiva. C’è un valore ulteriore, la privacy. È una questione delicata. Il gioco vale la candela? Io preferisco rinunciare a un po’ della mia riservatezza in cambio di maggiore movimento e per riprendere la vita sociale. Ma una maggiore libertà che non deve essere contro la sicurezza collettiva»
Giungendo al presente, vediamo la caduta del governo Conte II e la chiamata di Mario Draghi da parte del Presidente della Repubblica per la gestione dei fondi in arrivo del PNRR e per cercare di sanare un’ulteriore grave mancanza del governo Conte II, ossia l’abbandono da parte dello Stato delle P.M.I., le piccole- medie imprese: l’alimentari di paese, il giornalaio, il tabacchino ecc. ripagati fino ad ora dei mancati guadagni della pandemia con qualche misero centinaio di euro, senza incidere minimamente sulla diminuzione delle tasse.
Metteremo mai la parola fine a questa tragedia? Siccome sembra ancora distante la famosa “luce in fondo al tunnel”, se arrivasse, in che condizioni saremmo?